EUROPA CINEMA AL FEMMINILE 2021 – I edizione
Lunedì 15 Novembre 2021 – ore 19.30
PIATA LOD’ (Little Harbour) di Iveta Grófová
ore 19.30 / Paese: Slovacchia
in presenza della regista Iveta Grófová
PIATA LOD’ (Little Harbour)
Fiction, Slovacchia-Rep. Ceca-Ungheria 2016, 90’
con Vanessa Szamuhelová (Jarka), Matuš Bačišin (Kristian), Katarina Kamencova (madre Lucia)
Iveta Grófová racconta la storia di una ragazzina di 10 anni, una favola moderna che esplora le relazioni tra il mondo adulto e quello dell’infanzia.
La storia è ispirata a fatti realmente accaduti. Il gioco innocente di due bambini cambierà per sempre le loro vite. Jarka, dieci anni, vive con una madre che non è ancora pronta ad esserlo ed è spinta dal desiderio di amare e di formare una famiglia, al punto che si ritrova a prendersi cura e a proteggere due gemellini abbandonati. Jarka infatti, forma una «famiglia» con Kristian e insieme si nascondono dagli adulti in un capanno dismesso. Giocano alla famiglia per come immaginano dovrebbe essere nella realtà. Nel capanno, i due creano un loro mondo fatto di purezza e un solido legame che durerà per sempre.
Il film tratto dal libro The Fifth Boat di Monika Kompaníková ha vinto l’Orso di Cristallo al Miglior Film nella sezione Generation Kplus della 67a Berlinale.
Trailer
La regista slovacca Iveta Grófová ha studiato produzione di film d’animazione e documentari. Ha realizzato documentari brevi prima di lavorare al suo primo lungometraggio, Made in Ash [+], che combina elementi di finzione, documentario e animazione. Il suo ultimo film, Little Harbour [+], ha avuto la sua prima mondiale nella sezione Generation Kplus della Berlinale, dove ha vinto l’Orso di Cristallo. Cineuropa ha parlato con la regista di com’è stato tradurre un romanzo in un film e delle scelte che ha fatto.
Intervista alla regista
Cineuropa: In che modo Little Harbourdifferisce dal suo primo lungometraggio, Made in Ash?
Iveta Grófová: L’intenzione iniziale era di realizzare un film che fosse completamente diverso da Made in Ash. Little Harbour è più elaborato e preciso nella sua forma, un film di finzione a differenza di Made in Ash, che era a cavallo tra documentario e finzione narrativa, ed è stato fatto in circostanze completamente diverse. È stato una sorta di film fai da te, con un approccio totalmente diverso. Little Harbour combina le interpretazioni di attori giovanissimi, attori professionisti e non, bambini e animali domestici. Per certi versi, la natura della produzione era simile a Made in Ash. Ogni giorno di riprese era pieno di sorprese, e il caos è diventato un elemento ricorrente di ogni giornata di riprese con i ragazzini ed i bambini piccoli. Per questo motivo, ho anche trovato come utilizzare i metodi di regia impiegati per il mio debutto adattandoli al mio secondo film, poiché dirigere i bambini è più vicino ai metodi usati per girare un documentario.
Com’è stato il processo di traduzione dal libro al film?
Avevamo diverse versioni della sceneggiatura. Ci abbiamo lavorato per più di un anno, e le prime bozze erano completamente diverse da ciò che alla fine abbiamo girato. Il libro è molto più complesso, e ne ho scelto solo un frammento. Se avessi scelto di girare più linee temporali come quelle del libro, avrei perso la pura esperienza emozionale del film. C’è sempre un lato positivo e uno negativo, ma ho scelto il contenuto del libro che ho apprezzato di più. Per essere onesti, ho cercato di dimenticare un po’ del romanzo. Quando lavoravo alla sceneggiatura insieme a Marek Leščák, mi ha aiutato a prendere le distanze dal libro al fine di essere ispirata dai ricordi della storia, qualcosa che è rimasto con me e che si faceva sentire molto dopo aver finito il libro. La sceneggiatura è diversa dal libro; il film è un lavoro indipendente, e non sentivo il bisogno di confrontarlo rigorosamente con il romanzo.
Little Harbour è soprattutto un film psicologico, sebbene la dimensione sociale rimanga visibile.
Certo, l’aspetto sociale rimane sicuramente nel film, sebbene il mio obiettivo principale fosse quello di sopprimerlo il più possibile per concentrarmi sulla specifica atmosfera e sul lato artistico del film, che considero una parte altrettanto importante del romanzo. Per questo ho scelto di girare un dramma sociale di basso profilo.
Nel libro, la storia è raccontata a posteriori da una protagonista adulta, mentre lei sceglie di girare il film dal punto di vista di una bambina. Perché questa scelta?
Ho voluto preservare la prospettiva della bambina, ma la cosa principale è che volevo che la protagonista fosse sempre sulla scena in modo che gli spettatori potessero connettersi con lei, capirla e vivere la storia con lei. Non volevo spezzare quest’empatia incorporando altre linee temporali o trame. A mio parere, la storia si basa molto sulla motivazione interiore della protagonista. Ci sono situazioni ai margini della credibilità, e gli spettatori hanno bisogno di comprendere chiaramente la psicologia della protagonista per essere in grado di accettare tali situazioni; perciò ho scelto di investire di più nella costruzione della credibilità della psicologia della protagonista in modo che gli spettatori avrebbero accettato gli eventi che accadono nella storia.
Sta già pensando al suo prossimo progetto?
Ho un progetto a cui sto lavorando con Marek Leščák, che è anche una sorta di terapia a causa di Little Harbour. Ma non voglio affrettare le cose, e valuterò se questa storia è davvero qualcosa a cui voglio lavorare. Dopo Made in Ash, ho fatto Little Harbour come una sorta di terapia, e ora, dopo una storia così poetica, visiva ed emozionante che coinvolge i bambini, mi piacerebbe girare una black comedy, qualcosa di cinico – e tutte le storie che continuano a passarmi per la mente sono di questa natura. Credo di aver bisogno di provare qualcosa di diverso.